Due parole sul lavoro minorile: Lewis Hine e FSA

All’inizio del XX secolo gli Stati Uniti d’America erano la seconda economia del pianeta divennero la prima, sorpassando definitivamente la Gran Bretagna , solo dopo la fine della prima Guerra Mondiale. Erano anni tumultuosi in cui dall’Europa si riversarono circa 9 milioni di immigranti. La nascente industria impiegava facilmente bambini nei suoi processi di produzione.

Lewis-Hine-Tipple-Boy-1908

Lewis Hine dopo aver documentato l’arrivo ad Ellis Island (1904-1908) dei migranti europei divenne il fotografo del National Child Labor Committee ed entrò nelle fabbriche tessili, nelle miniere, nei campi, girovagò per le strade per riprendere fotografie di ragazzi e bambini al lavoro… Questo suo progetto fu uno dei cardini che spinse a sensibilizzare l’opinione pubblica e successivamente (nel 1916)  il Congresso Americano a promulgare le prime leggi sul lavoro minorile.

Lewis Hine -cotton

Molti anni dopo (1938-1940)  in pieno New Deal i fotografi della FSA documentarono ancora una volta il lavoro minorile negli USA.

Rothstein

Oggi in molti paesi del mondo i bambini iniziano ad aiutare in casa prima, nei campi o addirittura in fabbrica già in tenere età.
Pur non giustificando questo tipo di situazione va capito il fenomeno e compreso a fondo che il lavoro minorile non si combatte solo con delle leggi ad hoc ma creando nei paesi di origine le condizioni per poter far vivere ai bambini una infanzia più vicina alle loro esigenze.
Oggi nonostante la grande quantità di reportage, terribili e drammatici su questa piaga si fa poco, a parte rabbrividire.
I bambini rimangono troppo spesso vittime innocenti ed è diventato più facile dimenticare o far finta di non vedere.

Vittore Buzzi Photography

Vittore Buzzi Photography


Vittore Buzzi: FB, Instagram , Fotografo Matrimonio Bergamo, Fotografo Milano, Reportage

 

Paura della macchina e vera tragedia del digitale

Agli albori la fotografia non fu considerata arte da molti, era un procedimento meccanico, la macchina aveva una predominanza nella realizzazione del prodotto fotografico finale… Mancava l’epica del “manufatto”questa idea può far sorridere ma oggi si assiste a qualcosa di simile nei confronti della fotografia digitale… Non voglio criticare le prese di posizione di chi, come Berengo Gardin si arrocca nella fotografia analogica definendola “vera fotografia” o di chi, come Roberta Valtorta si interroga sui nuovi mezzi o chi come Giovanni Chiaramonte non da alcuna importanza al mezzo, io cerco di capire alcune tendenze del contemporaneo.

Alec Soth

Alec Soth

Il contemporaneo in fotografia ha molte sfaccettature una di queste è un ritorno alla fotografia analogica un po’ come se solo solo l’analogico potesse essere l’ambito di una fotografia alta (non voglio definirla artistica solo per comprendere uno spazio più amplio). Ecco allora ritornare la pellicola nei progetti di Alec Soth , Joakim Eskildsen o di Michael Ackerman.

Joakim Eskildsen

Joakim Eskildsen

Penso che sia una sorta di reazione male interpretata al digitale, dico male interpretata perché ho  la sensazione che questi autori non vogliano affermare la superiorità di un mezzo rispetto ad un altro ma che semplicemente utilizzino il mezzo che meglio si sposa con la loro espressività.

Michael Ackerman

Michael Ackerman

 

Nei primi tempi della fotografia c’era stata una reazione molto forte e per mitigare la presunta capacità delle macchina si era sviluppata una corrente fotografica che si chiamava PITTORIALISMO in cui la fotografia veniva “manipolata” per farla assomigliare di più a un quadro e per mettere l’accento sul lavoro manuale dell’autore, c’era una sorta di paura della macchina. Così la reazione che hanno oggi alcuni fotografi nel confronto del digitale sembra derivare da questo spauracchio.

Alfred Stieglitz

Alfred Stieglitz

Io ho una posizione molto serena non mi interessa molto della tecnica utilizzata ma di quello che l’immagine esprime, la fotografia è un sistema opaco, è un rimandare ad altri una propria visione del mondo.
Quindi la tecnica, qualunque essa sia, ha un senso se esiste unità con il progetto che stai realizzando.

La vera tragedia del digitale è che, spesso,  si fotografa tanto si fotografa solo per appagare un desiderio onanistico di accettazione e di auto gratificazione… dopo di che tutto finisce nel dimenticatoio, nella discarica della memoria… Si fotografa per poi poter dimenticare… per sostituire in fretta tutto con nuove immagini… Non bisognerebbe aver paura della macchina ma di noi stessi
In fin dei conti è ora di utilizzare le nostre immagini… di stamparle e di farne dei racconti… di portarle alla luce e di non relegarle al buio dei nostri HD.
Lasciamoci trasportare dal desiderio ma da quello di creare qualcosa, di utilizzare la fotografia come strumento non come fine nella produzione intellettuale… Saremo tutti più felici e liberi… 🙂
Allora facciamo 6 passeggiate nei boschi narrativi (Umberto Eco) e prepariamoci a raccontare una storia…

Vittore Buzzi

Vittore Buzzi

Vittore Buzzi: FB, Instagram , Matrimonio, Personal, Reportage

Creare un progetto fotografico.

Oggi viviamo nell’era del world wide web, della condivisione istantanea, dei like.
Con tutti gli enormi vantaggi in ordine di diffusione dei lavori fotografici e dei contatti tra le persone che ha portato questo fenomeno varrebbe la pena soffermarsi a pensare a come questo periodo é spesso contrassegnato da una certa inconcludenza.

Vale a dire che oggi basta pubblicare qualche foto sul blog, o su questo o quel social network e il risultato pare raggiunto dopo un po’ di “Like”. Sebbene non mi cambi la vita vedere tutti fare così, trovo sia un peccato non consolidare nulla, o quasi, di approfondito, in un progetto duraturo.
Uscire quindi da una rapida e veloce galleria online e creare qualcosa di più lento e ampio.

Un progetto é la coronazione di qualunque lavoro come fotografo. É il momento in cui le immagini passano da immagine singola a gruppo di immagini in una sorta di lavoro compiuto. Il lavoro compiuto può essere un libro, una scatola piena di stampe, uno slideshow…o niente di finale, ma solo un lungo viaggio per tenere assieme qualcosa di importante.

Un pomeriggio ad Oslo assieme ad un amico avevo visto questo libro in libreria:

libro progetti fotografici

Incuriosito, ho subito deciso di prenderne una copia..anche se non volevo farlo in Norvegia. Viaggio sempre con il bagaglio a mano ed ormai era davvero pieno al limite…appena tornato in Italia mi sono preso la mia copia.
Se non lo trovate in libreria potete ordinarlo a questo link.
É davvero un libro eccellente…mostra come grandi fotografi, più o meno noti, usano i mezzi a disposizione per creare un progetto…che sia il libro della vita o una collezione temporanea di pensieri.
C’é chi sceglie di usare Instagram e le gallerie online, chi preferisce basarsi su classici quaderni affiancando scritte e foto, chi le appende sulle pareti fino a riordinare il puzzle nella propria mente, chi stampa a getto d’inchiostro e incolla un “dummy” del libro che poi, alla fine, andrà a stampare. Avere qualcosa di fisico, tangibile, aiuta molto…oltre ad essere molto bello una volta finito (ma anche nel “mentre” a dire il vero) é decisamente più facile fare ordine in questi modi che con una cartella nel computer che contiene migliaia di files che non troveremo mai il tempo di riordinare.

Durante i nostri corsi di fotografia raccomandiamo sempre agli studenti di provare a finalizzare i propri lavori, o almeno di dar loro una forma, una direzione. Oggi scattiamo moltissime fotografie, a volte inutilmente…a volte dimenticandole poco dopo averle scattate. Personalmente trovo sia un peccato per chiunque, ma soprattutto per chi non vuole che la fotografia sia solo un passatempo di passaggio.

Ogni libro é potenzialmente in grado di accendere una scintilla, anche quelli non propriamente fotografici, come un romanzo…ma questo libro offre davvero degli spunti interessanti.

Come possiamo osservare i nostri archivi? quali avvenimenti caratterizzano la nostra cultura, quale parte della nostra storia merita un capitolo a parte? Può essere il caso di mettere da parte gli esercizi e osservare nuovamente le nostre fotografie più elementari? cosa possiamo fare per lavorare sulle nostre foto, aggiungendo e togliendo qualcosa fino a far risultare qualcosa che ci appartiene totalmente?

Prendiamo ad esempio il lavoro di Daisuke Yokota che arriva ad elaborare una semplice istantanea, rifotografandola, fotocopiandola, elaborandola digitalmente e in camera oscura…fino a renderla più vicina a ciò che sente e che sente sfuggire…

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Insomma, nessuna ricetta da copiare, ma tanti spunti per ispirarsi e interrogarsi…oggi se ne sente il bisogno.

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Il libro lo trovate in molte librerie oppure potete ordinarlo qui molto facilmente.

 

Gabriele Lopez

Personal / Fotografo matrimonio / Commercial / Facebook

Viaggiare si viaggiare

Leggero sempre più leggero ormai…
Tre macchine perché Holi metterà a dura prova l’attrezzatura…
Però il mio bagaglio a mano rimarrà di molto sotto i 2,5 kg…
Vittore Buzzi Photography
E’ inutile pensare di portare altro… Già così è troppo… Uno dei corpi mi aspetterà in albergo giusto in caso di bisogno… Ormai mi sono affezionato ad una configurazione basica OM-D + 12 mm e OM-D più 25 mm così posso fotografare la notte con un refolo di luce.
Sempre più raramente innesto il 12 – 40 mm e il 9-18 mm… Meno scelte, meno confusione più concentrato sulle mie foto…
I nuovi porta schede e porta schede e porta passaporto di Barber Shop per tenere sempre con me le schede. l’impugnatura a mano in pelle per la macchina fotografica…
Poi voglio lavorare per raccogliere foto e materiale per le mie Moleskine… In fondo mi accorgo sempre più che in questo modo cerco di creare dei mini progetti unici volti a far uscire dal mio computer le foto a preservare le esperienze a portarle su un piano tattile
Devo ringraziare Olympus Germania per avermi fornito macchine e obiettivi e il gruppo Plaber per i prodotti Barber Shop.
Saranno una decina di giorni intensi, pieni di fotografie e incontri…

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