Il dovere dello spettatore

La fotografia è un oggetto complesso. Oggi più che mai. Come spettatori e consumatori di immagini dovremmo chiederci cosa stiamo guardando.
Sempre più spesso ci vengono date in pasto immagini che vanno a rinforzare i nostri condizionamenti e vanno ad accrescere i nostri desideri di consumo.
Insomma lo streaming interrotto di foto, video e disegni   potrebbe anche essere uno strumento di controllo (non del tutto premeditato a volte anche involontario) della nostra società.
Uno degli artisti contemporanei che ha lavorato molto sui condizionamenti visivi, sugli stereotipi della comunicazione di massa è Richard Prince: fotografo e pittore che riutilizza il lavoro di altri fotografi per riflettere sulla contemporaneità L’immagine qui sotto (scattata in origine da Sam Abell e rifotografata da Prince) riflette sulla spettacolarizzazione della vita fatta dalla pubblicità… Spettacolarizzazione che sembra prendere il sopravvento sulla vita stessa.

Richard PrinceUntitled (Cowboy)
Richard Prince Untitled (Cowboy)

Questa foto, rifotografata (era pubblicità di un noto brand di tabacco) denuncia, attraverso una azione, che è anche concettuale, la narrazione che le fotografie portano con loro e la narrazione che i destinatari di questa comunicazione si aspettano dalla loro vita.
Oggi dovremmo smettere o diminuire il nostro consumo di immagini in funzione di una nuova consapevolezza…
Troppo zucchero fa venire la carie, la glicemia alta e nella peggiore delle ipotesi facilita il diabete…
Così oggi dovremo opporci e prendere meno immagini ma in maniera più consapevole…
E’ questa apparente semplicità di fruizione che ci fa pensare: “Cosa vuoi che mi faccia una fotografia.”
Invece fa… fa eccome anche perchè non è una sono miliardi e ricoprono il mondo…
Noi facciamo esperienza del mondo, ci facciamo una idea del mondo attraverso una sua riproduzione…
Come spettatori abbiamo una responsabilità: non consumare in maniera acritica tutto quello che ci danno in pasto.
Questo presuppone una cultura, un pensiero critico, un apparato di analisi dei media che non si vuole che sviluppiamo.
I giornali non approfondiscono, la televisione anestetizza e la rete con la sua massa enorme di informazioni oblia.
Il web e la fotografia digitale però richiedono molta più interazione e molto dipende da come ne usufruiamo.
Se smettiamo solo di subire le immagini saremo più liberi, consapevoli, informati e acculturati.
Certo ci vorrà un po’ di fatica.
Se ci trasformiamo in spettatori consapevoli ci sarà solo da guadagnare.

One Comment

  1. Condivido in toto e vorrei anche aggiungere che in questo cortocircuito globale della comunicazione che vede definitivamente affermata l’*egemonia* dell’immagine, sia come veicolo di informazione, sia come forma di autorappresentazione, la faccenda si complica ulteriormente, perché siamo tutti “influencer” e influenzati. Giochiamo un ruolo ambivalente in questo processo, che rafforza l’estetica corrente e la scala valoriale e interpretativa declinate secondo i parametri della fotografia usa e getta, la fotografia fatta per dimenticare. Forse alla base della fortuna (e al contempo sfortuna) della storia del mezzo fotografico c’è una contraddizione mai risolta tra l’immediatezza del mezzo la sua essenza “democratica” e l’assenza quasi totale di un’educazione interpretativa della fotografia come mezzo espressivo.
    Sappiamo tutti qualcosa su Giotto, Caravaggio, Picasso, Boccioni, Pollock, Wenders, Scorsese, Kurosawa… ma nulla di chi ha sperimentato con la fotografia, non ne conosciamo il lessico, non ne conosciamo la semantica, la storia, le potenzialità e i limiti. Un’esperienza tanto pervasiva e trasversale della fotografia, senza il supporto di un sostrato che crei consapevolezza culturale del mezzo, aumenta a dismisura la forbice tra la possibilità di una coscienza dell’immagine e l’impoverimento della sua forza creativa e vitale.

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