Out of Sight di Nanni Fontana

Una intervista chiacchierata tra Vittore (V) e  Nanni Fontana (N) sul suo grande progetto Out of Sight.

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V.Out of sight progetto, lungo, bellissimo  ha una genesi particolare giusto Nanni?
N. Ho iniziato il mio viaggio nell’epidemia di HIV e AIDS quando ho ritirato i risultati del mio test HIV pochi giorni dopo la 21° giornata mondiale contro l’AIDS, nel 2009. Quando sono andato con Eva (la mia futura moglie) a prendere i risultati del test ero molto preoccupato. Pensavo all’AIDS come a qualcosa di cui si fosse già detto tutto, qualcosa di “vecchio”. Ma dopo aver parlato col dottore che avevo di fronte mi sono reso conto di essere in realtà molto ignorante circa la malattia e ho quindi deciso che mi sarei impegnato a lavorare su questo tema il più presto possibile, sia per sistemare la mia ignoranza sia per dare un contributo alla maggior consapevolezza del pubblico in generale.
V. La particolarità del progetto è che è stato lungo e complesso e anche costoso da realizzare?
N. Out of Sight è stato prodotto con il contributo del World Health Organization. Ho investigato l’epidemia in cinque paesi – Tailandia, Mozambico, Brasile, Ucraina e Stati Uniti – tra il dicembre del 2010 e l’ottobre del 2013. Data la complessità dell’epidemia, ho capito presto che non sarei stato in grado di riportare in modo esaustivo né di poter spiegare tutto ciò che è successo e ancora succede. Ciò nonostante, ho sempre voluto che questo progetto non fosse soltanto un reportage fotografico ma anche uno strumento di prevenzione con cui raggiungere un pubblico più ampio possibile. Un mezzo versatile, facilmente utilizzabile ovunque ci sia ancora la voglia di parlare di HIV e AIDS. Spero, almeno in parte, di esserci riuscito.
V. Assolutamente si. Come sai però volevo dare qualche spunto propositivo a chi si avvicina al reportage ed una tua caratteristica è quella di lavorare per progetti e farteli finanziare ci puoi dire velocemente come e quanto ti ha dato il WHO?
N. Mi sono finanziato il primo capitolo quello sulla Tailandia poi quando mi è capitata l’occasione di fare un lavoro di documentazione per il WHO ho provato a presentare il progetto che avevo in mente e mi hanno assegnato una specie di grant che ha coperto tutti i costi di produzione più il costo di un giornalista che mi ha accompagnato in ogni viaggio e il sito di presentazione finale.

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V. Ottimo, mi chiedevo poi se hai provato a veicolarlo sui media tradizionali perché hai usato un tocco delicato e metaforico assolutamente non drammatico per affrontare il problema?
N. Volevo innanzitutto ringraziare Gaia Light che mi ha aiutato nell’editing e ha saputo orientare la visone generale del progetto. Con il lavoro completo in mano ho provato a proporlo a magazine seri o all’interno di rassegne fotografiche e sfortunatamente non ho riscosso molto interesse. Però invece di arrendermi e lasciare perdere ho provato a pensare “out of the box” così ho puntato sulla valenza di conoscenza per gli altri, infatti fra qualche giorno inaugura la mostra di Out of Sight a Palazzo Ducale a Genova all’interno del Festival della Scienza, una sede prestigiosa e uno scopo didattico: quello di avvertire i giovani che l’AIDS c’è ancora e che va combattuta.
Qui le info per la mostra: Link
25 ottobre – 2 novembre
09:00 – 17:20 lun – ven
10:00 – 18:20 sab – dom
Palazzo Ducale – Munizioniere Piazza Matteotti, 9 Genova

V.Quindi Nanni ricapitolando ci sono spazi diversi per il reportage oggi, non facili da percepire e ancora più complessi da intercettare però si deve pensare in maniera differente e non continuare a piangersi addosso.
N. Certo è così. E’ dura, giusto per evitare facilonerie e illusioni però ci sono strade nuove. Così come è interessante vedere che esistono anche fotografi che danno spazio ai colleghi a furia di seminare bene qualcosa si raccoglierà… Magari va a finire che diventiamo editori di noi stessi…
V. E’ vero Nanni, tu sai che aborro photo editor arroganti e curatori impreparati più simili a satrapi da operetta… se è possibile dare un po’ di visibilità ad autori e progetti interessanti beh perché aspettare…

Link utili: Out of sight il progettoNanni Fontana il sito

 

Fotografia di Reportage guardare oltre quattro chiacchiere con Fausto Podavini

Cosa: fotografia reportage, Fausto Podavini, nuovi modi di essere reporter
Le immagini che vedete qui relative al  lavoro di Fausto Podavini  Suspended in midair

E’ un continuo piangersi addosso, ovunque mi giri colleghi che si lamentano. Il ritornello è sempre lo stesso: “La fotografia di reportage è morta“…
E’ veramente così? Sicuramente il reportage di viaggio più leggero senza approfondimento sta scomparendo. Ora mai le poche testate che producono ancora servizi preferiscono raccattare in giro sulle agenzie a 1 euro le immagini che servono per montare alla bene e meglio dei servizi rabberciati sia dal punto di vista visivo che dal punto di vista dei contenuti.

Suspended in midair

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In realtà quello che sta accadendo è che continuo a vedere lavori splendidi di tanti colleghi che non vengono pubblicati.

Ho avuto una piacevole conversazione con  Fausto Podavini     sull’argomento qualche giorno fa prima che partisse per l’India.

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F. “E’ una storia trita e ritrita, io smetterei di parlare di crisi semplicemente è tutto cambiato il fotografo deve cercare di trovare nuove vie per finanziare i suoi progetti, che vanno dall’insegnare ( Fausto insegna qui: http://www.collettivowsp.org/) al trovare dei clienti che possono essere anche delle ONG. Insomma è importante fare, crearsi una rete di contatti. Poi è così in tutti i lavori che comprendono la libera professione.”
V. “E’ vero, io poi trovo, avendo fatto una lunga permanenza in un quotidiano, che a volte alcuni progetti manchino un po’ di esperienza giornalistica, forse quella è molto importante…”
F.E’ fondamentale, informarsi, cercare i contatti avvicinarsi alle storie, oggi sembra tutto facile ma non lo è… Un approccio fotogiornalistico o comunque giornalistico fa la differenza… Certo non è facile imparare…”
V. “A proposito di allievi tu ne avrai visti più o meno 500 quanti lavori buoni ti hanno portato e quanti di loro stanno provando ad entrare nella professione?”
F. “Premesso che metto in guardia  i miei allievi sulle difficoltà e sul fatto che debbano investire su loro stessi ho circa una decina di allievi che si stanno attivando professionalmente… e negli ultimi anni mi hanno portato 5 / 6 lavori di spessore… E i tuoi?”
V. “Io purtroppo non ne posso contare più di 4… 2 però erano  veramente spaziali… Ritornando però alla nostra professione tu hai avuto una esperienza positiva con il Crowd Funding  che sta diventando velocemente una moda hai qualche consiglio?”
F.Una campagna di Crowd Funding va pensata e pianificata accuratamente, devi avere degli argomenti forti da spendere, oggi vedo che spesso si attivano delle campagne un po’ troppo improvvisate, questo banalizza lo strumento e lo renderà più debole alla lunga con il rischio che in qualche anno diventi del tutto inefficace.”
V. “Invece ti è capitato di lavorare con aziende nella valorizzazione del Capitale Umano o nella rappresentazione dei Bilanci SocialiPerché qui a Milano ci si sta muovendo…Alcune grosse aziende hanno iniziato reinvestire nell’archivio storico… Cosa che era scomparsa nei passati 6/7 anni. Certo bisogna avere i contatti giusti e presentare dei progetti interessanti che abbiano un ritorno di immagine…”
F.“No, mi sono stati chiesti dei lavori più pubblicitari con il “sapore” del reportage…”

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V.“I concorsi e le borse di studio importanti?”
F. “Sono vetrine, sono possibilità però io non produrrei per il concorso, o per accedere alla borsa di studio quelle sono cose che vengono dopo solo se il lavoro c’è. Però una volta che il lavoro è fatto diventano importanti per veicolare il proprio nome e per raccogliere anche dei finanziamenti per mostrarsi ad un pubblico più vasto. Sono una seconda fase quella di promozione del proprio progetto.

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V. “Quindi Fausto riassumendo in maniera positiva cosa si può dire a chi ama la fotografia di reportage oggi?”
F. ” Ci sono delle possibilità ma ci si deve muovere con cautela e con progettualità, si deve essere consci delle proprie possibilità e si devono attivare delle capacità che con il fotografare hanno ben poco a che vedere. Oggi il mondo è pieno di opportunità solo che se continuiamo a pensare ai giornali alle riviste… Beh non è più solo lì che bisogna cercare…Ci sono ONG, aziende, sponsor, c’è la possibilità di fare mostre e di vendere le proprie stampe, libri, corsi… Però ognuna di queste cose richiede competenze, tempo e lavoro e fotografie che siano fuori dalla media…”
V. “Si io penso che si debba iniziare ad avere una progettualità che sia fuori dal comune con una capacità di attirare risorse da campi molto diversi a quelli “tradizionali” della fotografia. Gli spazi ci sono il pubblico anche ma non è più pagante o almeno non è pagante come una volta. Una delle domande che rivolgo spesso ai miei studenti del corso di reportage è proprio questa: Se voi non volete pagare per i contenuti di cui fruite come sperate di essere pagati per produrne? Dovete avere qualcosa da dire e dovete crearvi un pubblico, qualcuno che vi ascolti e questo si può fare solo con il tempo con la tenacia e con tanto, tanto lavoro. I social media poi sono un mezzo non sono il fine… Buon viaggio Fausto dove vai?”
F. “A Varanasi… ”
V.“Ci vediamo a Roma verso Dicembre…”
F.“A Roma.”

Le immagini che vedete qui relative al  lavoro di Fausto Podavini  Suspended in midair
Cosa: fotografia reportage, Fausto Podavini, nuovi modi di essere reporter

Daniele Coricciati

Autore: “Daniele Coricciati”  www.danielecoricciati.com 

Titolo: “Sola Andata”.

Progetto: “Un viaggio in Azerbaijan, un paese che è in pieno “boom economico”… …che ha intrapreso un percorso senza ritorno dai risvolti, in parte, sicuramente positivi… Un lavoro grande lo spazio di 100 rullini Tri-X con un 28mm e una Leica -R”.

Stampe su carta baritata alla gelatina d’argento in tiratura chiusa di 10 disponibili in vari formati da 20×30 cm e con prezzi a partire dai 400 Euro stampate da Gianni Romano di Studio Fahrenheit (www.studiofahrenheit.it). Per informazioni sull’acquisto contattate direttamente l’autore attraverso la sezione contatti del suo sito internet.

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Un secondo incontro nello spazio di una settimana con un progetto scattato in analogico non può essere un caso…

Le fotografie di Daniele Coricciati ritraggono un Azerbajan delicato e sognante in una fase particolare della sua storia, la transizione (senza ritorno) verso una società globalizzata e consumistica, uno sguardo malinconico e pieno di amore su un mondo che sta scomparendo con la speranza che questo paese possa trovare una via personale alla costruzione di un futuro migliore che sappia però valorizzare quanto di positivo rimane del suo passato.

Il lavoro è risolto ed interessante, compatibilmente con la disponibilità dell’autore potrebbe avere un seguito.

Incontro Daniele in un cortile della vecchia Milano dietro Porta Venezia, sede di NW Architects dell’architetto Nino Piccolo che ospita la mostra.

All’ombra chiacchieriamo a lungo di fotografia mentre giovani entusiasti vanno e vengono dalla sua mostra e ci ritagliamo un angolo di Salento al Nord. Capelli arruffati e folti, barba bionda e sguardo profondo, in testa un amore comune e pericoloso, la Fotografia. Daniele non è propriamente un outsider del mondo della fotografia ma è la prima volta che si prende uno spazio di una mostra e inizia a vendere il suo lavoro ad un pubblico di collezionisti ed appassionati.

V. Perché l’Azerbajan?

D. Il progetto nasce in collaborazione con l’Ambasciata dell’Azerbaijan in Italia per documentare il momento di transizione del paese, volevo entrare in contatto con le persone che si trovano ad una svolta in una società complessa, ex comunista con una grossa componete musulmana, la parola che meglio lo descrive è convivenza…

V. Ci sono state difficoltà particolari?

D. L’inizio… Le istituzioni mi avevano messo a disposizione una macchina, l’autista, l’interprete ed un operatore video… Sembrava una visita ufficiale, Mercedes e alberghi lontani dalle persone… tutto era progettato in maniera troppo turistica. Dopo dei chiarimenti con l’operatore video ho congedato l’autista e la Mercedes ho affittato una Lada 2107 (la ex 124) e ho scelto alberghetti e pensioncine nei villaggi e nelle cittadine che visitavo. Ora oltre alle foto mi ritrovo anche con oltre 9 ore di girato video mentre lavoro… Tanto materiale…

V. Come hai trovato le persone?

D. Un impatto umano bellissimo, gente attenta preparata che mi ha insegnato molto, come ti dicevo una grande aflato di speranza una forte spinta verso una convivenza serena, molte etnie la capacità di mescolarsi senza perdere la propria identità… Persone attente e curiose ai fatti internazionali oltre che alla loro politica interna…

V. Ho visto che non hai parlato dell’industria e del petrolio mi spieghi questa tua scelta?

D. Come potrai immaginare ho sentito che mi sarei impegolato in continue richieste burocratiche che mi avrebbero riempito di energie negative e sottratto tempo prezioso per il lavoro. Ho preferito concentrarmi sul resto.

V. Hai uno stile personale con dei bianchi e neri profondi ma delicati mi dici dal punto di vista estetico dei nomi di fotografi che ti hanno influenzato?

D. Ma guarda ti sembrerò scontato ma Koudelka con il suo lavoro più conosciuto “Gypsies”, Larry Towell con “The Mennonites”, Eugene Richards con “The Blue Room” … Si sono loro che…

V. Ma se ti dico Robert Frank?

Ride poi il viso si vela leggermente…

D.  Ecco vedi manca la mia biblioteca… Certo “The Americans”… Amo quelle progettualità lunghe con una visione profonda… E a proposito della mia libreria non posso non pensare a due grandi fotografi italiani che mi hanno segnato: Luigi Ghirri e Mario Giacomelli…

V. Che macchina e che obiettivo?

D. Una Leica R con un Elmarit 28 mm, poche cose a cui pensare e solo le foto su cui concentrarmi con una visione più “grandangolare”. Non volevo essere distratto dallo zoom, focali diverse o altro volevo essere concentrato sulle mie foto.

V. Pellicola?

D. 100 rulli di Tri-x per circa 35 giorni, 3.600 immagini. Anche qui una scelta, non volevo rivederle me le ricordavo tutte, non sono un nostalgico ma volevo uno spazio mentale che con il digitale è più difficile da creare, volevo “sentire”.

V. Sviluppi, stai in camera oscura con lo stampatore?

D. Non sviluppo. A volte sto in camera oscura con lo stampatore altrimenti scansiono il negativo faccio una post produzione di massima e gliela invio.

Ci avviciniamo alle stampe, la carta baritata ha sempre il suo fascino…

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V. Questa mi piace particolarmente, il due ripetuto più volte, l’assenza che allude una presenza, la luce dolce che tutto avvolge…

D. È la casa di una maestra in pensione, lei e suo marito… Una storia nella storia…

Poi mangiamo, passiamo dal Montenegro al Salento, spuntano gli incontri in comune che il piccolo mondo della fotografia riserva… Parliamo di lavoro e progetti, di vita, di opportunità e di futuro… Intanto nella mia mente scorrono le immagini di “Solo andata” e sono contento di avere conosciuto Daniele… Nella speranza che ci sia anche un ritorno…